L'ultimo battiloro, l'artigiano che viene dal passato | Corriere.it

2023-02-28 14:16:58 By : Ms. KARI POON

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Nel Settecento i laboratori erano 340, ora a Venezia il maestro Menegazzo e le doratrici sono gli unici depositari di un mestiere antico e affascinante

In alto e sinistra, Marino Menegazzo con le sue doratrici, Chiara Pavan, chef del ristorante Venissa a Mazzorbo ed Elisabetta Mason (foto Nevio Doz)

Marino Menegazzo ha ragione: l’oro di Venezia è donna. Le signore dell’oro dispongono quarti di lamine auree tra i fogli di pergamena nelle forme che Marino, l’ultimo battiloro artigiano d’Europa, trasformerà con centinaia di magistrali colpi di martello in veline da 24 carati.

Nel laboratorio Mario Berta battiloro a Cannaregio il lavoro della moglie Sabrina Berta, erede di bottega, e delle figlie Eleonora e Sara è fondamentale. L’officina è il regno dell’alchimista che fonde i lingotti tramutandoli in lamine; uno spazio angusto, ingombro di utensili, presse, crogioli, un grande ceppo in pietra e i vetusti martelli consumati dalla secolare battitura delle forme. Un verdeggiante giardino all’interno del palazzo dove nel ‘500 visse il grande Tiziano Vecellio, separa la fumigante fucina dal laboratorio atelier dove campeggiano le auree sculture equestri di Stefan Jakobs.

Nella fascinosa location le signore dell’oro con un soffio delicato sollevano le pellicole impalpabili ricavate dalla battitura. Con delicatezza chirurgica pinzette e taglierino, perché un tocco delle dita le distruggerebbe, le riducono a foglie quadrate da comporre nei preziosi libretti che daranno lavoro alla fantasia di artisti, scultori, doratori, vetrai, tessitori e un poliedrico pubblico di consumatori. Un’atmosfera evanescente avvolge lo spazio nell’antico palazzo. Un luogo tra passato e presente dove arte tempo e relatività sembrano imporre le proprie leggi fisiche. Pare di rivederlo il Tiziano mentre apre l’uscio di casa e attraversa con incedere elegante il giardino. Il mastro battitore

Trasportato ai giorni nostri Il Maestro del Rinascimento pittorico veneziano farebbe il tifo per Marino rimasto il solo interprete di quest’arte che non trova eredi alla sua altezza: «L’impossibilità di trovare un allievo è il grande rammarico di papà - confida Eleonora - Noi donne non siamo in grado di sostituirlo e per questo ci siamo affidati anche all’Università di Ingegneria Robotica di Genova pensando a una soluzione tecnologica. Purtroppo tutto si è arenato per mancanza di fondi. Abbiamo chiesto un sostegno a banche, autorità a esponenti della Regione e altri personaggi che frequentano il laboratorio perché questo straordinario mestiere che potrebbe essere catalogato Patrimonio dell’Umanità non si estingua. Risultato? Tante promesse e complimenti: bene bravi continuate, ma di concreto nulla». La capacità di produrre combinazioni di metalli preziosi di Marino è straordinaria: «Ha creato con le sue ricette diciassette sfumature di colore dell’oro» L’arte della forgiatura sbarcò a Venezia da Bisanzio all’inizio dell’XI secolo arrivando al top a metà del Settecento quando trecentoquaranta «tira e bati» scandivano a colpi di martello i tempi della ricca economia della Serenissima. Le doratrici

Elisabetta Mason utilizza i libretti di Berta nella bottega in Santa Croce dove il giallo è dominante tra statue lignee, cornici, specchi, stemmi, puttini e motivi ornamentali delle gondole. È l’unica donna a Venezia a svolgere l’attività di doratrice: «Siamo rimasti in tre in laguna; finiti noi che sarà?» C’è del rammarico nelle sue parole, un «grido di dolore» che accomuna gli artigiani lagunari in trincea per difendere le straordinarie eccellenze che Venezia si porta in dote. «La mission del Comune dovrebbe essere la tutela del nostro patrimonio culturale, il cuore artistico della città che traduce nelle proprie eccellenze manuali i valori della tradizione. Potremmo insegnare ad artigiani di ogni paese, vivrebbero esperienze uniche per impreziosire le loro attività. Il sorriso riaccende il viso della doradora quando estrae dal «libretto» una foglia d’oro. Ne taglia una parte l’adagia sul cimier, l’ornamento che impreziosisce la poltroncina della gondola e la modella con la pietra d’agata. «Il lavoro ti chiama; questo mestiere mi ha scelto». I tempi cambiano come i gusti, la cultura e il mercato che oggi per i giovani ha il minimal come dogma. Il mestiere vive di sofferenza e occorre di necessità fare virtù: «Il turismo esperienziale mi permette di sostenere l’attività in laboratori dove insegno tecniche base di restauro e doratura». Un effetto domino che accomuna storiche botteghe come Berta Battiloro che propongono educational agli ospiti del nuovo turismo culturale. Mercati e applicazioni

Venezia non luccica più come un tempo ma la fantasia genera scintille tra le donne nella nuova «frontiera dell’oro». Intuizioni che le gemelle Menegazzo hanno saputo tradurre in kit di bellezza: trucco, anti age, decorazione estetica, maschere di bellezza all’insegna delle proprietà che l’oro trasmette. «Siamo state le prime in questo settore - svela Sara - L’oro viene sterilizzato con raggi ultravioletti; la stessa tecnica di abbattitura la utilizziamo per le foglie alimentari che chef e pasticceri ci richiedono per guarnire i loro piatti». Il metallo prezioso ha da sempre avuto un grande fascino a tavola. A Venezia un editto del Doge vietava l’utilizzo scriteriato dell’oro nei piatti dei commercianti che finivano per rovinarsi nell’ostentare il loro status. I tempi cambiano ma non il vezzo di un tocco dorato in un piatto gourmand. Nella tenuta di Venissa, a Mazzorbo, Chiara Pavan, giovane verde stella femminile nell’olimpo degli chef Michelin, propone un delizioso spago oro in garum di sarde, la fermentazione ereditata dagli antichi romani, guarnito con foglia aurea. È un piatto della cucina ambientale ispirata alla Venezia nativa il mantra della sua filosofia enogastronomica. Venissa è il sogno aureo che Gianluca Bisol erede della storica dinastia di vignaioli a Valdobbiadene dal 1540 ha materializzato tra le mura della proprietà. Un sogno divenuto realtà grazie a una sua geniale intuizione, riesumare dal passato l’uva dei Dogi. Dorona, l’uva dei dogi

Non poteva che chiamarsi Dorona l’uva madre del nettare prediletto nella Serenissima. Curiosità, istinto, Intuizione, le leve della scoperta «archeologica» dell’ Indiana Jones Bisol, otto viti dell’antico ceppo ritrovate a Mazzorbo grazie a un indizio che ha condotto alla scoperta di una sessantina di piante sopravvissute qua è là in laguna alla devastante alluvione del Sessantasei che distrusse la quasi totalità dei coltivi. Dopo oltre mezzo secolo di oblio ecco tornare in vita il vigneto di Dorona che ha prodotto nella tenuta murata un vino unico al mondo. Foglie d’oro dei Berta vestono le pregiate bottiglie della cantina, etichette uniche personalizzate a mano da maestri vetrai. Una scultura esposta alla Biennale di Venezia celebra gli esclusivi manufatti nell’Osteria contemporanea della tenuta. Qui, attorno a un’immaginaria tavola rotonda, siedono cavalleresse e cavalieri, «arti-geni» al servizio di re passione, la mission il loro sogno nel cassetto. La cena ha il gusto speciale del «nativo» spago oro accompagnato dall’aureo nettare del Bianco Venissa. Sognare è lecito quanto affidare a quella bottiglia un messaggio di speranza. Che il destino si compia e un Tiziano dei giorni nostri, mentore, filantropo, illuminato o politico che la salvi dai flutti dell’ acqua alta di laguna per fare sua quella mission. L’oro di Venezia è donna, difficile resistere al suo fascino.

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